Il Dio dell’Acqua è Tempo che incontriamo
Profondità Trasparenza Sedimentazione
di Viana Conti
Genova febbraio 2013
Il fiume tendeva alla meta, Siddharta lo vedeva affrettarsi, quel fiume che era fatto di lui e dei suoi e di tutti gli uomini ch’egli avesse mai visto, tutte le onde, tutta quell’acqua si affrettavano, soffrendo, verso le loro mete. Molte mete: la cascata, il lago, le rapide, il mare, e tutte le mete venivano raggiunte, e a ogni meta una nuova ne seguiva, e dall’acqua si generava vapore e saliva in cielo, diventava pioggia e precipitava giù dal cielo, diventava fonte, ruscello, fiume, e di nuovo riprendeva il suo cammino, di nuovo cominciava a fluire. Ma l’avida voce era mutata. Ancora suonava piena d’ansia e d’affanno, ma altre voci si univano a lei, voci di gioia e di dolore, voci buone e cattive, sorridenti e tristi, cento voci, mille voci. Siddharta ascoltava. Era ora tutt’orecchi, interamente immerso in ascolto, totalmente vuoto, totalmente disposto ad assorbire; sentiva che ora aveva appreso tutta l’arte dell’ascoltare. Spesso aveva già ascoltato tutto ciò, queste mille voci nel fiume; ma ora tutto ciò aveva un suono nuovo. Ecco che più non riusciva a distinguere le molte voci, le allegre da quelle in pianto, le infantili da quelle virili, tutte si mescolavano insieme, lamenti di desiderio e riso del saggio, grida di collera e gemiti di morenti, tutto era una cosa sola, tutto era mescolato e intrecciato, in mille modi intessuto. E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita.
Siddharta
Hermann Hesse
Nell’immaginario di Delfina Camurati la realtà fenomenica altro non è che illusione ed a questa illusione l’artista consegna la sua energia creativa, la sua capacità di immedesimazione mimetica, per ideare un doppio del mondo nell’opera d’arte.
Il ciclo dell’Acqua, che segue a quello della Terra e precede quelli del Fuoco e dell’Aria, inizia nel 1996. Delfina Camurati sente l’urgenza di una sosta dall’attività espositiva, di un arresto di attenzione al mondo esterno, che coincide con un risveglio di interesse verso la dimensione della profondità, della sedimentazione, della trasparenza. Determinante, per la sua riflessione, sarà il viaggio in Marocco del 1995. Seduta accanto ad uno specchio d’acqua, se ne sente attratta, ne contempla il fondo, l’incresparsi della superficie, vi scorge la propria immagine e insieme quella delle cose che la circondano, dal cielo alla terra, dalla terra al cielo. In questo momento di estasi, in cui il piano terreno e quello spirituale coincidono, si presenta la scintilla della rivelazione, di quel disvelamento che in greco prende il nome di apocalisse. Nell’elemento primordiale dell’acqua, senza cui la vita sarebbe impossibile, e che in natura muta il suo stato in neve, ghiaccio, vapore acqueo, l’artista ritrova il valore del mutamento, del passaggio da uno stadio all’altro. Elemento costitutivo dell’universo, l’acqua detiene un valore simbolico di purificazione anche nelle differenti religioni. Non sono ancora le acque putrescenti di uno stagno a dar vita al fiore del loto, emblema del candore e della purezza? La fluidità dell’acqua suscita nell’artista il desiderio di contenerla in una cornice, ora quadrata, ora rettangolare, anche circolare, di pietra simulata, di raggelarla in un recinto di sassi, in una mini oasi del deserto, scaturiti, uno per uno, da un miraggio, per contemplarla nella sua irreale immobilità, per cristallizzarla nei colori caldi o freddi delle sue terre naturali, nella lucentezza di smalti, vernici, colle, nell’iterata stratificazione delle sue velature. Nell’immaginario di Delfina Camurati, l’acqua risuona con un ruscello argentino, altrove scorre lenta e solenne come il fiume indiano Gange, riflette chi vi cerchi la propria effigie o vi riscopra i volti e le immagini che vi si sono specchiate nel tempo, nei tempi. La situazione è paradossale come l’affermazione di un Koan Zen, teso a risvegliare, nel discepolo da parte del Maestro, la consapevolezza dell’inafferabilità del reale.
Hermann Hesse, Siddharta, Adelphi edizioni, 2008, Milano, traduzione di Massimo Mila, pag. 179-180.